LA CASSAZIONE AI MEDICI “STOP AI RICOVERI LAMPO”

I giudici: le dimissioni di un paziente non devono rispondere a logiche di bilancio

No alle «logiche mercantili» quando si tratta di salute. La Corte di Cassazione ammonisce i medici stabilendo che possono essere chiamati a rispondere per omicidio colposo se dimettono troppo sbrigativamente dall’ospedale pazienti che poi muoiono. Che si tenga conto, insomma, del giuramento antico (Ippocrate docet) e non quello dettato dalla necessità di far quadrare i bilanci delle aziende sanitarie. Il dovere è quello di «anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza». Parole nette non interpretabili.

Tutto nasce dal caso di un medico dell’ospedale di Busto Arsizio, il dottor R.G., chiamato a rispondere di omicidio colposo perché, in qualità di medico dell’ospedale, con la responsabilità delle terapie post operatorie, era stato ritenuto responsabile della morte di Romildo B., avvenuta poche ore la dimissione, a nove giorni dall’intervento di angioplastica all’arteria anteriore (in seguito a un infarto del miocardio). Inutile la corsa in ospedale. Se, invece l’uomo non fosse stato dimesso, ha accertato la perizia legale,sarebbe tranquillamente sopravvissuto per le rapide cure che avrebbe ricevuto in reparto.

In primo grado il gup del Tribunale di Milano aveva condannato il medico a otto mesi di reclusione per omicidio colposo, pena sospesa con la condizionale, imponendogli pure una provvisionale di 50 mila euro in favore dei famigliari. Ma poi la decisione è stata ribaltata dalla Corte d’Appello di Milano che, il 16 novembre 2009, assolveva con formula piena il medico, «perché il fatto non costituisce reato». Così la Procura Si oppone e adesso la quarta sezione penale con la sentenza 8254 sottolinea che a un medico, per liberarsi da ogni responsabilità, non basta dire di essersi «attenuto scrupolosamente alle linee guida» previste per i professionisti.

Le parole dei supremi giudici sono chiarissime: se le linee guida in uso negli ospedali «dovessero rispondere solo a logiche mercantili», il rispetto delle stesse «a scapito dell’ammalato, non potrebbe costituire per il medico una sorta di salva condotto, capace di metterlo al riparo da qualsiasi responsabilità, penale e civile, o anche solo morale». Secondo la Cassazione le linee guida possono «legittimamente» essere «ispirate anche a logiche di economicità di gestione» purché non siano «in contrasto con le conclamate esigenze di cura del paziente».

E i medici non nascondono di essere preoccupati: la sentenza rischia di «alimentare la medicina difensiva», avverte il segretario nazionale Anaao Assomed, Costantino Troise, pur condividendo la premessa «secondo cui l’aspetto professionale deve essere preminente rispetto alle logiche economiche». Insomma, la paura di possibili conseguenze giudiziarie non deve guidare la decisione del medico. Esattamente come non devono farlo le logiche economiche. Altrimenti «per assurdo, chi si prenderebbe la responsabilità di dimettere mai un paziente?», si chiede Troise. Mentre Riccardo Cassi, presidente Nazionale Cimo-Asmd (coordinamento italiano medici ospedalieri) sottolinea come questa sia una sentenza «importante» che riporta il medico «al centro delle decisioni diagnostico-terapeutiche, dopo anni di predominanza di logiche economiche che hanno cercato di trasformarlo da professionista in dirigente impegnato a cercare di far risparmiare le aziende».

Per Francesca Moccia, coordinatrice nazionale del Tribunale per i diritti del Malato la sentenza della Cassazione può «essere un antidoto a un male diffuso negli ospedali italiani, quello delle dimissioni lampo e forzate. Un fenomeno che, purtroppo, complici la crisi, i tagli e i piani di rientro, non sembra volersi arrestare».

Maria Corbi

La Stampa di venerdì 4 marzo 2011