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LA LIBERA PROFESSIONE DEI MEDICI E C.

 

Una vergogna che non  avrà fine (e spieghiamo il perché)
 

Una delle più colossali prese in giro (e non solo) attuate nei confronti del cittadino è costituita dalla “libera professione intramoenia” che la legge italiana ha obbligatoriamente garantito ai medici e ad altri professionisti, come ad esempio i veterinari, dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale che hanno scelto il regime di “esclusivista”.

Cosa significa “l’esclusività di rapporto” è presto detto. I medici e altri dichiarano che scelgono questo regime contrattuale (che non li obbliga a fare alcunché di più e di diverso rispetto alla condizione precedente) e con una sola fava prendono i classici due piccioni che in questo caso sono: una indennità mensile che si aggira mediamente sui 1000 euro e il diritto (non la possibilità) di esercitare in proprio all’interno della struttura sanitaria pubblica.

Questo diritto di esercizio è disciplinato per legge e prevede tra l’altro: l’obbligo da parte dell’azienda sanitaria di predisporre luoghi e tecnologie nei e con i quali visitare, operare, diagnosticare, ecc., nel caso ciò non sia possibile (cioè sempre) attivare la “libera professione intramoenia allargata” attuando delle convenzioni con strutture private e facendo rientrare all’interno della cosiddetta “libera professione intramoenia (dentro le mura)” anche gli studi privati che a volte distano centinaia di chilometri.

Tra l’altro per strutturare questo sistema erano stati stanziati nel 1999 ben 3.000 miliardi di vecchie lire!

Tutta questa vergognosa (e dispendiosa, per i cittadini) pratica è stata contrabbandata da politici, apparentemente dediti alla difesa della morale e dell’etica pubbliche, come la fine da parte del medico di poter lavorare per dio e per mammona e un modo per finanziare il sistema sanitario. In realtà, per la prima questione qualcuno dovrebbe spiegare che differenza fa fare i fatti propri nell’ospedale pubblico anziché nella casa di cura privata e per la seconda è dimostrate che le percentuali delle prestazioni riconosciute all’azienda sanitaria dai professionisti sono ridicole e non coprono nemmeno i costi per non parlare dell’evasione parziale e totale praticata, a detta dell’Agenzia delle Entrate che dovrebbe intendersene, da una percentuale di professionisti che si aggira “tra il 30 e il 40% con picchi superiori al 50%”.    

Ora, si spiega come mai circa il 95% dei medici e altri professionisti hanno optato per la “libera professione intramoenia” e come mai le organizzazioni sindacali mediche e non mediche sono pronte a fare fuoco e fiamme per difendere la cosiddetta “intramoenia allargata” di fronte alla timida ipotesi governativa di una sua soppressione.

C’è da credere che nemmeno i più fervidi ideatori di parte medica avevano previsto una pacchia del genere, tra l’altro responsabile per una parte cospicua di quel fenomeno di negazione del diritto alla tutela della salute e di malcostume che si chiamano “liste d’attesa” di mesi. Liste d’attesa di una lunghezza tale da aver oramai convinto il cittadino che per riuscire ad ottenere una prestazione in tempi ragionevoli è meglio pagare e tacere.

Proprio questa allegra e incontrollabile gestione della “libera professione intramoenia” che garantisce tanti soldi e nessuna responsabilità rende di fatto il sistema blindato e non eliminabile.

Se poi, come si legge dai giornali, non sapendo più come cavarsela con le rivendicazioni anche salariali dei “medici specializzandi” il governo pensa di estendere anche a loro la “libera professione” pur non avendo questi nemmeno lo “status” di dipendente, allora è ancora più la non riformabilità di questo istituto.

Se, infine, il senatore professor (o professor senatore) Ignazio Marino, presidente della Commissione Affari sociali del Senato (che si occupa di sanità e sociale) ha chiesto e ottenuto di esercitare la propria professione (quale?) all’interno del Senato dove gli è stato all’uopo approntato (con i soldi del contribuente) lo studio medico, allora vuol proprio dire che non c’è limite al peggio.

 

Roberto Buttura