L'Autorità Consolare non è vincolata al nulla osta del Questore

(Cassazione 209/2005)

L’Autorità Consolare, nel rilasciare il visto di ingresso per il ricongiungimento familiare di un cittadino straniero, non è vincolata al nulla osta del Questore, ma è libera di decidere per un diniego. Il principio è stato stabilito dalla Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso del Ministero degli Affari Esteri contro una sentenza della Corte di Appello di Firenze che, confermando la decisione del Tribunale, aveva ritenuto illegittimo il rifiuto di concedere il visto di ingresso per consentire il ricongiungimento familiare di una cittadina albanese ai propri genitori, in quanto non vi era stato il preventivo nulla osta da parte del Questore. La Suprema Corte ha invece spiegato che le Questure e l'Autorità hanno compiti differenti, in quanto alle prime compete la verifica della sussistenza dei requisiti e delle condizioni previste dalla legge, mentre alla seconda spetta invece la verifica dei presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al lavoro e di convivenza, "da intendere non soltanto nel senso dei presupposti d’identità e di qualità soggettiva intrinseci alla persona destinataria del visto di ingresso, ma altresì nel senso delle ulteriori condizioni, di natura economica, in cui quest’ultima si trovi nei rapporti con il richiedente"; pertanto, l'Autorità Consolare può legittimamente negare il visto di ingresso senza attendere il nulla osta del Questore. (17 marzo 2005)
 

 

Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.209/2005 (Presidente: A. Saggio; Relatore: P. Giuliani)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 29/5/2002, la cittadina albanese D. R. (o R.) Z. impugnava davanti al Tribunale di Firenze il provvedimento mediante il quale l’Ambasciata italiana in Albania aveva denegato il rilascio del visto di ingresso a favore dei propri genitori, D. R. e D. R., nel quadro del procedimento, avviato dalla stessa ricorrente, volto ad ottenere il ricongiungimento familiare ai sensi dell’art. 29 del decreto legislativo n.286 del 1998 [1].

Lamentava la predetta l’illegittimità del suindicato provvedimento di diniego, fondato sulla carenza del requisito della vivenza a carico, così come disciplinato dall’art. 29, primo comma, lett. c), del citato decreto legislativo n. 286/1998.

Il Tribunale adito, con decreto emesso il 14/10/2002, accoglieva il ricorso.

Avverso la decisione, proponeva reclamo il Ministero degli Affari Esteri, deducendo la carenza delle prove offerte ex adverso in merito alla sussistenza del requisito in parola.

La Corte di Appello di Firenze, con decreto in data 7-25/2/2003, dichiarava inammissibile il reclamo, assumendo: che il visto di ingresso si palesasse quale atto assolutamente vincolato, il cui rilascio doveva necessariamente conseguire al nulla osta del Questore; che non sussistendo dunque una potestà discrezionale della rappresentanza consolare tale da estrinsecarsi nella valutazione dell’opportunità del rilascio del visto, non sussistesse neppure una legittimazione della stessa Amministrazione (rappresentata dal Ministero degli Esteri) a proporre gravame avverso il provvedimento giudiziario che, riconosciuta la sussistenza dei requisiti già accertati dalla Questura in sede di emanazione del nulla osta, aveva ordinato il rilascio del visto.

Avverso il decreto anzidetto, ricorre per cassazione il già indicato Ministero, deducendo due motivi di gravame ai quali non resiste la cittadina straniera sopra nominata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente l’illegittimità del decreto impugnato per violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 30 del decreto legislativo n. 286 del 1998, nonché dell’art. 24, secondo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., assumendo: che il ricorso avverso i provvedimenti di diniego del rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento familiare è proposto, ai sensi dell’art. 30, sesto comma, del decreto legislativo n. 286 del 1998, nei modi del procedimento in camera di consiglio di cui agli artt. 737 e seguenti c.p.c., laddove la previsione dell’iter camerale non vale di per se stessa ad escludere la natura contenziosa del procedimento stesso, essendo anzi evidente che il relativo giudizio non possa essere ricondotto nell’ambito della mera giurisdizione volontaria; che, pertanto, all’autorità che ha deciso il rifiuto del visto di ingresso, ritenuto lesivo del diritto soggetto all’unità familiare, non può non riconoscersi, nel rispetto del principio del contraddittorio, la facoltà di intervenire in giudizio per difendere il provvedimento contestato, essendo evidente come, nella specie, l’Amministrazione sia legittimata ad impugnare l’ordinanza emessa dal giudice di primo grado per resistere contro l’annullamento del provvedimento di diniego del rilascio del visto di ingresso; che, nel caso in esame, del resto, il Ministero ricorrente ha resistito in primo grado, assumendo per ciò solo la qualità di parte del procedimento avviato ai sensi dell’art. 30 del decreto legislativo n. 286 del 1998, onde la legittimità dell’azione intrapresa dal medesimo ricorrente, il quale, come ha legittimamente resistito innanzi al giudice di prime cure per difendere il provvedimento impugnato, altrettanto legittimamente, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, ha proposto reclamo, assumendo la qualità di parte anche nel successivo grado di giudizio.

Con il secondo motivo di impugnazione, del cui esame congiunto con il precedente si palesa l’opportunità involgendo ambedue la trattazione di questioni strettamente connesse, lamenta ancora il ricorrente l’illegittimità del decreto legislativo n. 286 del 1998, nonché dell’art. 6 del D.P.R. n. 394 del 1999, in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., deducendo: che appaiono infondate le argomentazioni tratte dal giudice di merito, a sostegno del difetto di legittimazione al reclamo da parte dell’Amministrazione, dal carattere assolutamente vincolato, rispetto al previo accertamento dei requisiti ai fini della concessione del nulla osta di competenza della Questura, del provvedimento di rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento familiare, onde non sussisterebbe alcuna potestà discrezionale della rappresentanza consolare italiana in merito all’opportunità del rilascio stesso; che quest’ultimo deve essere configurato come l’atto conclusivo di un procedimento a formazione complessa, il quale coinvolge sia le determinazioni espresse dalla Questura sia le valutazioni dell’Autorità consolare, cosicché occorre l’intervento, in senso favorevole, delle une e delle altre; che, tuttavia, quand’anche si volesse considerare il provvedimento di rilascio del visto di ingresso, da parte dell’Autorità da ultimo indicata, come un atto vincolato, tale circostanza non avrebbe ad escluderne la giustiziabilità ne potrebbe essere invocato per sostenere che, nel giudizio avente ad oggetto censure contro l’atto amministrativo, l’Amministrazione non possa partecipare difendendo il proprio operato.

I due motivi sono fondati.

Giova, al riguardo, permettere come la materia dei visti relativi ai ricongiungimenti familiari trovi la propria analitica regolamentazione nell’art. 6 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, ai sensi del quale il richiedente deve munirsi preventivamente del nulla osta della Questura, indicando le generalità delle persone per le quali chiede il ricongiungimento e presentando la documentazione meglio specificata al primo comma dello stesso art. 6, onde, verificata la sussistenza degli altri requisiti e condizioni, la Questura medesima rilascia, entro novanta giorni dalla ricezione della domanda e della documentazione anzidetta, il nulla osta condizionato alla effettiva acquisizione, da parte dell’Autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al lavoro e di convivenza (art. 6, secondo comma), laddove tale Autorità, ricevuto il nulla osta di cui al già richiamato comma secondo (ovvero, se sono trascorsi novanta giorni dalla presentazione della domanda di nulla osta, ricevuta copia della domanda medesima e degli atti contrassegnati a norma del comma primo) ed acquisita la documentazione comprovante i presupposti di cui al comma secondo, rilasciano il visto di ingresso, previa esibizione del passaporto e della documentazione di viaggio (art. 6, terzo comma).

Tanto premesso, si osserva come, dalla lettura della disposizione sopra riportata, sia dato di ricavare: che alle Questure, chiamate a rilasciare preventivamente il nulla osta condizionato alla effettiva acquisizione, da parte dell’autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al lavoro e di convivenza (art. 6, secondo comma, del D.P.R. n. 394 del 1999), compete la verifica della sussistenza dei requisiti e delle condizioni segnatamente risultanti dalle lettere a), b) e c) del primo comma del già citato art. 6; che all’Autorità consolare compete, invece, la verifica degli anzidetti presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al lavoro e di convivenza, di cui al secondo comma del medesimo art. 6, laddove, però, simili presupposti sono da intendere non soltanto nel senso dei presupposti d’identità e di qualità soggettiva intrinseci alla persona destinataria del visto di ingresso, ma altresì nel senso delle ulteriori condizioni, di natura economica, in cui quest’ultima si trovi nei rapporti con il richiedente, postulando la lettera c) del primo comma dell’art. 29 del decreto legislativo n. 286 del 1998 (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica introdotta dall’art. 23, primo comma, lettera a), n. 2, della legge 30 luglio 2002, n. 189), che trattasi di genitori a carico.

Ad una simile conclusione induce il rilievo secondo cui, giusta quanto traspare dal terzo comma dell’art. 6 del D.P.R. n. 394 del 1999, le Questure risultano in possesso della (sola) documentazione di cui al primo comma del medesimo art. 6, mentre l’acquisizione della documentazione comprovante i presupposti di cui al già richiamato secondo comma compete esclusivamente alle Autorità consolari, non apparendo, del resto, ragionevole una interpretazione la quale finisca per demandare alle Questure una verifica mal suscettibile, per sua stessa natura, di essere compiuta in Italia, quando, invece, una simile verifica, trattandosi di requisiti (di natura economica) da accertare essenzialmente in relazione a soggetti che si trovano all’estero, meglio si presta ad essere quivi effettuata, ovvero appunto dalle rappresentanze diplomatiche e consolari.

Ne varrebbe, in contrario, osservare che, a norma dell’art. 29, settimo comma, del decreto legislativo n. 286 del 1998 il Questore emette il provvedimento richiesto, ovvero un provvedimento di diniego del nulla osta, verificata l’esistenza dei requisiti di cui al presente articolo, atteso che il riferimento a tali requisiti deve essere inteso come relativo a quelli di cui al terzo comma del medesimo art. 29 (corrispondenti a quelli di cui al primo comma, lettere c) e b), dell’art. 6 del D.P.R. n. 394 del 1999), costituiti dalla disponibilità rispettivamente, di un alloggio rientrante nei parametri minimi e di un reddito annuo sufficiente derivante da fonti lecite.

Appare, dunque, palese come, qualora si riconosca, secondo le considerazioni di cui sopra, che la verifica circa la sussistenza delle condizioni soggettive di cui all’art, 29, primo comma, lettera c), del decreto legislativo n. 286 del 1998 (ivi compreso il rapporto economico, oltre quello strettamente parentale, intercorrente tra i due interessati, ovvero tra lo straniero che richiede il ricongiungimento familiare ed il genitore per il quale detto ricongiungimento è domandato), compete all’Autorità consolare italiana, detta Autorità ben possa (impregiudicato, evidentemente, il relativo sindacato giurisdizionale richiesto sul punto dall’interessato, a norma dell’ultimo comma dell’art. 30 del già richiamato decreto legislativo n. 286/1998, a seguito del diniego del rilascio del visto di ingresso per siffatto ricongiungimento) disattendere la valutazione eventualmente compiuta al riguardo dalla Questura, senza con ciò sostituirsi a quest’ultimo ufficio che, come si è visto, non gode in proposito di alcuna competenza specifica ed esclusiva oltre quella che si incentra, sulla base della verifica della sussistenza degli altri requisiti e condizioni meglio sopra indicati (quelli, cioè, di cui all’art. 29, terzo comma, del decreto legislativo n. 286 del 1998 e all’art. 6, primo comma, del D.P.R. n. 394 del 1999, non solo a ricevere il nulla osta di cui al secondo comma dello stesso art. 6, ma altresì ad acquisire la documentazione comprovante i presupposti (ulteriori) di cui a quest’ultimo comma.

In termini siffatti, non può, dunque, essere preliminarmente condiviso l’assunto della Corte territoriale la dove detto Giudice ha ritenuto che all’accertamento della sussistenza dei requisiti prescritti dall’art. 29 del decreto legislativo n. 286 del 1998 è preposta la Questura e che il rilascio del successivo visto di ingresso, deve necessariamente conseguire al nulla osta del Questore.

Peraltro, anche l’ulteriore affermazione secondo cui non sussistendo… una potestà discrezionale della rappresentanza consolare, che possa estrinsecarsi nella valutazione dell’opportunità del rilascio del visto, non sussiste neppure una legittimazione della stessa Amministrazione (qui rappresentata dal Ministero degli Esteri) a proporre gravame avverso il provvedimento giurisdizionale che, riconosciuta la sussistenza di quegli stessi requisiti già accertati dalla Questura in sede di emanazione del nulla osta, ha ordinato il rilascio del visto, non va esente da censura.

Alle considerazioni già svolte, infatti, occorre aggiungere che, ove pure si debba ammettere come l’Autorità diplomatica i consolare, in sede di rilascio del visto, difetti di potestà discrezionale… che possa estrinsecarsi nella valutazione dell’opportunità del rilasci stesso (una volta, tuttavia, verificata, giusta quanto precede, non già la sussistenza di quegli stessi requisiti già accertati dalla Questura in sede di emanazione del nulla osta, secondo quanto ritenuto dalla Corte territoriale, bensì la sussistenza degli ulteriori presupposti di cui all’art. 6, secondo comma, del già richiamato D.P.R. n. 394 del 1999), una simile conclusione varrebbe esclusivamente ai fini del riconoscimento, in capo al soggetto richiedente, di un vero e proprio diritto soggettivo (azionabile davanti al giudice ordinario a norma del sopra menzionato art. 30, ultimo comma, del decreto legislativo n. 286 del 1998), non già, però, ai fini di escludere una legittimazione della stessa Amministrazione (qui rappresentata dal Ministero degli Esteri) a proporre gravame avverso il provvedimento giurisdizionale che… ha ordinato il rilascio del visto.

Ai fini, infatti, della suddetta legittimazione, è da osservare: che, per un vero, anche nel procedimento camerale, come è appunto quello di cui al già citato art. 30, ultimo comma, del decreto legislativo n. 286/1998 (il quale si svolge nei modi di cui agli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile), al pari di quanto accade nel giudizio contenzioso ordinario, la veste di parte processuale, e quindi di soggetto legittimato al reclamo ex art. 739 c.p.c., si determina, nei gradi successivi al primo, esclusivamente per relationem, rispetto, cioè, alla qualità di parte formalmente assunta nello stesso primo grado, essendo siffatta qualità il presupposto giuridico formale che legittima attivamente e passivamente al reclamo stesso; che, per altro verso, del resto, la dove venga impugnato per via giurisdizionale un provvedimento amministrativo, deve ritenersi investito della legittimazione a contraddire in giudizio, a difesa del medesimo provvedimento oggetto di contestazione davanti all’autorità giudiziaria e, quindi, all’operato stesso dell’Amministrazione, l’organo di vertice gerarchicamente sovraordinato (nella specie, il Ministero degli Affari Esteri) rispetto a quello (nella specie, l’Ambasciata italiana in Albania) che ha emanato il provvedimento anzidetto (nella specie, di diniego del rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento familiare), la dove quest’ultimo organo non sia di per se investito (come nel caso, invece, del prefetto riguardo al decreto di espulsione dello straniero, ex art. 13 bis, secondo comma, del decreto legislativo n. 286 del 1998) di una propria ed autonoma legittimazione.

Pertanto, il ricorso merita accoglimento, onde l’impugnato decreto va cassato in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, al altra sezione della Corte di Appello di Firenze, affinché detto Giudice provveda a statuire sulla controversia demandata alla sua cognizione facendo applicazione dei principi sopra enunciati.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, al altra sezione della Corte di Appello di Firenze.

Roma, 3 novembre 2004.

 

Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2005.